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San Giacomo degli Schiavoni: "pizza call e vin bun"

Questo detto ha accompagnato tante generazioni nel corso della storia sangiacomese. Il nostro paese è stato sempre ricco di tradizioni culinarie.
La gente ospitale e generosa non ha mai dimenticato tale detto, infatti in tutte le case c'era il vino e la pizza.
Anticamente la nostra era una cucina povera fatta di pochi ingredienti ma di ottima qualità. Voglio ricordare:

sagntell e fasciul, (pasta e fagioli)
taccunell cu p’mmdor, (pasta col pomodoro)
past e cic, (pasta e ceci)
i frascatill,
a pizz d’ grandnj, (pizza di granturco)
a pizz cu pmmdor (pizza col pomodoro) cotta nel forno a legna,
cuzztill e foj, (cavatelli e rape)
a pulent, (polenta)

tutte queste cucine erano allora la delizia delle nostre tavole non dimenticando la bontà di “maccarun a cipp “ (fusilli) che quasi tutte le domeniche erano nei nostri piatti. Quante volte la mattina ci si svegliava al rumore del ferro che cavava la pasta! Era una musica dolce che si ripeteva insieme al ticchettìo della pioggia.
Che tempi quelli! Nel periodo natalizio ricordo ancora l'odore delle "scrippelle" che saliva su per le piazze, dei "cavciun", da "croccant" e da "cecerchièt".
Era tutto un brulichio di gente indaffarata a preparare questi dolci tipici che poi si consumavano durante e dopo le feste.
E poi la tradizione del brodo con il cardo il giorno di santo Stefano, le anguille e il baccalà con il cavolfiore la vigilia, e il giorno di Natale finalmente si poteva gustare un pò di carne che non sempre si aveva la possibilità di comprare.
Oggi c'è abbondanza di ogni tipo di cibo però manca la tranquillità e la gioia di condividerlo con gli altri. Quindi oggi in prevalenza c'è solitudine e tristezza mentre un tempo, il miscuglio di odori e fumi inebriava la gente che con poco era serena e contenta.
La bontà del pane fatto in casa e la fragranza di quando era appena sfornato era irresistibile .
In tutte le case vi era un forno a legna e le donne erano impegnate in questo lavoro faticoso ma soddisfacente quando il pane veniva buono.
Prima che arrivasse la Pasqua, in ogni casa si conservavano le uova nei cesti per usarle nella preparazione dei dolci tipici di quel santo periodo. Le "pigne", i "sciadun" (fiadoni) i taralli, i celli, le friselle, le pupattelle, i cavallucci e cestini fatti di pasta adornati di confettini colorati e argentati che si regalavano ai bambini.
Durante la settimana Santa, il cibo era molto povero, quasi penitenziale. Il giorno di Pasqua esso era più gustoso e i piatti più elaborati prendevano il posto di quelli semplici.
La carne, che durante l'anno era un lusso, nel giorno di Pasqua arrivava anche sulle tavole dei più poveri.
Il lunedì dell' Angelo, giorno della scampagnata, si usava cucinare lo spezzatino di agnello e la frittata con gli asparagi raccolti in quel giorno. Un' altra usanza era quella di essiccare i fichi sulle grate (costruite con legno e canne divise a metà). Nel periodo estivo, quando incominciavano a maturare i fichi, si vedeva un'enorme quantità di grate esposte al sole. Avveniva così il procedimento di essiccazione. Dopo si univano i fichi dando origine alle "cucchiatelle", mentre i fichi interi appassiti sull' albero si chiamavano "carracine" che si infilavano in uno spago d'erba (iung) dando la forma di bambola o di cuore. In seguito venivano infornati e conservati per l'inverno e quando il freddo si faceva più intenso e tutta la famiglia si riuniva attorno al camino, si poteva gustare la bontà dei fichi secchi.
La gastronomia sangiacomese non è stata e non è solo questa ma è qualcosa di meglio: "la salsiccia" che è sempre stata ed è un elemento essenziale del nostro cibo.
Questa era ed è S. Giacomo dai profumi intensi e sapori dolci che si intrecciano sulle tavole insieme al buon vino dal gusto aspro e forte.

 

Tratto dal libro: S.Giacomo degli Schiavoni di Elia Della Porta; anno 1999